di Gaia Serena Simionati

Fremont, un film di Babak Jalali, dal 27 giugno al cinema con Wanted.

Con la sceneggiatura di Carolina Cavalli Babak Jalali con Anaita Wali ZadaJeremy Allen White e Gregg Turkington.

Non so come ci possa sentire al sicuro dove le stelle cambiano così tanto

Così dice uno dei protagonisti, arrivato in California e spiazzato dalla diversità. Oltre che dalla perdita di punti fissi.

Egli vive a Fremont, cittadina poco distante da San Francisco, che ospita la più grande comunità afghana degli Stati Uniti. Comunica solo con Donya, una ragazza misteriosa, ex traduttrice afghana che ha lavorato per il governo USA.

Afflitta da insonnia, vive anch’essa sola nella città californiana in un edificio frequentato da altri immigrati. Conduce un’esistenza vuota e solitaria.

E’ divisa tra il lavoro come scrittrice di profezie per i biscotti della fortuna e le sessioni di terapia con l’eccentrico dottor Anthony, che, da solo, assieme alla musica e una fotografia liturgica, in bianco e nero, vale davvero il biglietto,

Solitamente, trascorre le sue serate in un ristorante locale, immersa nelle trame delle soap operas. La sua vita prende un twist quando decide di osare nella fabbrica in cui lavora.

Fremont è un’opera delicata che racconta, con toni malinconici, i tormenti di una giovane che vive con senso di colpa la decisione di aver lasciato la propria terra per trovare rifugio negli Stati Uniti.

La fabbrica di biscotti della fortuna dove lavora l’ ex traduttrice afghana, scappata da Kabul, non è territorio di incontri ma di solitudini reciproche.

A renderle è bravissima e intensa, l’esordiente Anaita Wali Zada, che soffre di sindrome post traumatica da stress, impersona la dolorosa sensazione di evacuazione dall’Afganistan. Inconsciamente si sente una traditrice, rea di aver aiutato gli Americani nelle loro basi in Afganistan.

Un ottimo sound design e la originale, corollaria musica, scritta da Mahmood Schricker, che esplora il setar elettrico con un corno solo e baritono, un pò jazz un pò oriente fonde anche i due linguaggi, le due etnie, Este e Ovest, punto di incrocio non solo di suoni, ma di identità.

Una su tutte, tra questi poetici drammi uditivi, sono quei 2 minuti e 22 secondi di Globe Scene, reiterati e martellanti nel film e oltre, che ti svoltano la giornata. E ti rendono addicted.

Conducono chi guarda in una malia ossessiva non solo per la forte e incisiva protagonista. C’è anche il suo desiderio di amare e colmare una solitudine abissale. E’ quella dell’esilio, della nostalgia, dei sopravvissuti del dramma dei profughi, temi intelligentemente e delicatamente proposti dal regista iraniano.

Il regista

Babak Jalali è un regista e produttore cinematografico iraniano-britannico, regista in particolare di Radio Dreams, per il quale ha vinto l’Hivos Tiger Award al 45° Festival Internazionale del Cinema di Rotterdam.

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