Perché ha scelto di tradurre proprio il libro “Stai zitta” di Judy Brown?

Nella collana Oltreconfine, oltre a proporre una storia che abbia della suspence, vogliamo parlare di mondi che in generale ci sono poco noti. Personalmente ero molto incuriosita dalle comunità ultraortodosse newyorkesi dopo aver visto Unorthodox, e non mi è sembrato vero quando mi è capitato tra le mani questo libro. Tra l’altro rappresenta un fil rouge con altri romanzi da noi pubblicati, dove appunto emerge la condizione delle donne.

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La casa editrice Le Assassine, produce numerose pubblicazioni vintage. Quanto e perché, secondo lei, è importante riproporre le opere vecchie in chiave moderna?

Premetto che noi pubblichiamo opere mai tradotte in italiano e che rispettiamo la polvere del tempo, pur cercando di rendere i romanzi fruibili ai lettori di oggi. Proporre opere del passato è per noi importante perché permette di capire modi di vivere e di pensare che ci sono lontani e quindi anche avere un’idea dei cambiamenti sociali intervenuti nel tempo.

Stai zitta, fa parte della collana Oltreconfine. Perché si è scelto di pubblicare autrici non italiane?

La scelta dipende un po’ dalla mia formazione e dal mio passato professionale e di vita: ho studiato lingue e ho vissuto diversi anni all’estero, per cui sono sempre stata incuriosita e interessata alle altre culture. E poi le nostre autrici sono donne di spessore, anche se in Italia non sono conosciute. Sono scrittrici affermate, giornaliste, persino ministre o hanno una posizione di spicco nel mondo culturale del loro Paese. Mi sembra giusto farle conoscere ed è un modo per abbattere certi pregiudizi: posso dire che Edizioni Le Assassine intende sempre più essere “assassine di pregiudizi”?

Quando ha letto per la prima volta il testo della Brown, confermandone la traduzione e poi la pubblicazione, cosa ha pensato in merito? Qual è stata la cosa che l’ha colpita maggiormente?

Ho avuto sentimenti contrastanti, da un lato una grande pena per i lacci e lacciuoli che costringono le donne a non esprimersi liberamente e dall’altro commozione per come la protagonista racconta la sua storia dal punto di vista di quando era bambina.

Secondo lei, un libro tradotto perde in qualche maniera la sua vera espressione? In che modo è possibile mantenere la sua integrità totale?

Tutto dipende da come viene tradotto. Chi conosce a fondo la cultura della lingua d’origine e naturalmente ha un’ottima padronanza della lingua italiana saprà rendere al meglio l’originale, trasmettendo il senso che l’autrice vuole dare al suo libro. E senza peccare di presunzione tutte le nostre traduttrici sono di elevato livello. Ma qui la discussione sulla traduzione si farebbe lunga, perché in merito esistono posizioni diverse: fedeltà assoluta al testo o bellezza e infedeltà, per dirla in due parole.

Quali sono i progetti futuri per la casa editrice?

Prossimamente un Vintage americano degli anni Trenta e poi un romanzo di una scrittrice turca. In pentola bolle anche un romanzo iraniano e… un altro ceco, ma è presto per parlarne.

Il testo della Brown racconta principalmente di un abuso sessuale. Quanto è importante, in veste di editrice, secondo lei, finanziare ad oggi libri di tematiche così importanti? Che valore potrebbero avere per la società queste letture?

Direi che Judy Brown non racconta solo un abuso sessuale, ma la condizione di sottomissione dell’altra metà del cielo. Trovo che sia importante attraverso il racconto denunciare questi fatti, del resto l’autrice ha dovuto scrivere inizialmente sotto pseudonimo per non incorrere in episodi di ostracismo e minacce. La funzione della letteratura non è solo quella di intrattenere, ma di far riflettere.