Sonia Bergamasco | «Vivo l’arte in osmosi con il presente» Di Gino Morabito

Un mestiere, quello dell’attrice, che resta per certi versi sempre misterioso e naturalmente affascinante. In un corpo come testimone, traghettatore di pulsioni, emozioni. Con le fattezze e il talento di Sonia Bergamasco che, tra musica, cinema e teatro, conquista la scena e seduce. Sullo schermo e sul palco.

L’immagine di una bambina che si guarda allo specchio.

Lo specchio per me è un luogo magico. Un luogo nel quale, attraverso me, vedo altro. È un’immagine simbolica. Poi, certo, riflesso, mi può mostrare il movimento, l’invecchiamento, le rughe… Ma nello specchio vedo il viaggio.

Un viaggio fatto di incontri.

I maestri sono persone, incontri. Sicuramente ci sono quelli che ti fanno esplodere le idee e ti accendono qualcosa per sempre. Io ho avuto la fortuna di incontrarne alcuni. Non sono soltanto artisti ma anche persone comuni, e spero di continuare a incontrarne ancora.

Il pensiero corre inevitabilmente a Livia nella serie televisiva Il commissario Montalbano.

Sono entrata nel cast di Montalbano negli ultimi cinque anni di questa storia. Interpretando il ruolo di Livia si è aperto uno squarcio su un tipo di lavoro che, in televisione, può sostenere un racconto poetico, con un linguaggio potente come quello di Camilleri, fatto di visioni. Il tutto ha preso corpo anche attraverso la sapiente opera di regia, di importazione registica e traduzione svolta da Alberto Sironi che ha creato una bolla. Una bolla di racconto andato avanti per vent’anni.

Le splendide location di Puntasecca e del ragusano ritraggono un Sud pieno di contraddizioni e di abbacinante bellezza.

La bellezza da sola non basta. Occorrono anche le condizioni perché i giovani abbiano la possibilità di uno studio e uno sbocco sul lavoro concreto. Sì, è vero, in Sicilia come in altri luoghi del nostro Paese, c’è tanta bellezza. Ma questa bellezza poi dev’essere messa a frutto e tradotta nel presente con un progetto per le nuove generazioni.

Il potere salvifico dell’arte come difesa dall’appiattimento culturale e dall’intolleranza.

Credo che l’arte intesa come il fare, fare teatro, fare cinema, scrivere, dipingere, scolpire, sia di per sé una pratica che non può prevedere barriere né confini territoriali, linguistici, razziali. Qualcosa che abbia un senso artistico non può che avvenire in totale apertura, in osmosi con quello che accade nel presente.

Il mestiere dell’attrice è sicuramente una professione, ma è anche qualcosa di più.

Io lavoro cercando di dare il massimo e ritengo che, in questo, sia uno scambio, un vero e proprio riflettersi gli uni negli altri. Poi sicuramente c’è anche la possibilità di un arricchimento ulteriore, a livello pedagogico. Possibilità che molto spesso mi è stata offerta e che, quando ho potuto, ho praticato nelle scuole e nelle sedi di laboratorio.

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