Incrocio tra una scultura già di per sé orribile di Rabarama ed gli eburnei volto e corpo – seppur scultoreo – marmoreo di Achille Lauro, il ‘Frankenstein’ de noialtri di Guillermo del Toro delude per il suo continuo e inarrestabile sapore di falsità.

Lo aveva già fatto nel plagio tratto dal cortometraggio di un giovane studente di cinema che lo denunciò in The shape of waters, a cui ha risarcito piccola cifra rispetto al guadagno milionario del film. E reitera ora.

E, con quella piccola grande ingiuria, ad oggi la trappola per topi di Guillermo del Toro, miete meno vittime.
Almeno per quanto mi riguarda.

Qui il plagio è addirittura peggiore perchè è verso se stesso. Oltre che verso l’idea narrativa di Mary Shelley (1818) che oggi amiamo chiamare REMAKE, direi di chi ha finito idee proprie.
Egli copia il rapporto malsano col femminile che una bestia può avere. Anche questo già esplorato. Vive delle proprie ossessioni e manie.
Infatti lo avevamo già colto anche questo, nella giovane protagonista che si relazionava con dolcezza alla ‘creatura’ marina in The shape of waters.
Qui ciò si reitera malamente, ricordando di nuovo anche la Bella e la Bestia, altro tema poco esplorato e ‘nuovo’.
Ma che problemi ha Del toro?
Lui parla fin da piccolo di un’ossessione verso Frankenstein, ma il modo con cui realizza le 2 ore e 20 troppo lunghe, lente e con estetica da Netflix, patinata e piatta, oltre alla falsità di lupi che mangiano pecore e uomini con bruttissimi metodi Ai, adattando il tutto al contemporaneo anche al digitale, tecnologico (I NUOVI MOSTRI ODIERNi) farà di sicuro rigirare la madre del vero Frankenstein nella tomba.
Oltre che noi, spettatori più severi.