di Gaia Serena Simionati

Quale forza può derivare ad un’opera d’arte, dopo averla concepita nel tempo, dolore e silenzio di una prigione?

A questa domanda risponde perfettamente It was only an accident, gia Palma d’oro a Cannes, film di Jafar Panahi che di accidentale non ha proprio niente.

Già in ‘No end’, presentato al Bifest, 112′ minuti di suspense con il montaggio di Jafar Panahi, la regia di Nader Saeivar e la sceneggiatura di entrambi, veniva esplorato questo importante tema: la libertà dell’individuo

La forza dei contenuti

Potenza del dramma sociale che si espleta nel controllo del cittadino, nella perdita dellaprivacy, nella violenza per ottenere informazioni.

I temi del film sono molti tra cui, oltre ai soprusi e abusi di potere di servizi deviati, si esplorano anche e nettamente iconfini tra privato e pubblico, che svaniscono e non esistono più, lasciando il cittadino inerme.

Tante le riflessioni che No end scatenava già nel 2022, utili a capire che ciò che sta avvenendo in un numero sempre maggiore di stati, Italia inclusa e non consapevole, è una realtà. Non è finzione.

‘No end’ colpiva quindi come un pugno allo stomaco.

Regista e montatore turchi iraniani hanno ben chiaro cosa significhi repressione, controllo, paura delle istituzioni e lo rendono perfettamente, dando aiuto e sostegno emotivo a tutti coloro che sono perseguitati da governi mostruosi, a cui anche il nostro, fintamente democratico, si sta sempre più avvicinando.

Il film girato sempre sulla oscurità, quella che pervade il regno di Gilgamesh, oggi più che mai, ha una fotografia utile a definire la realtà: buia. Un altro tema che emerge dal film è la assoluta impotenza del cittadino Questo genera frustrazione, specie a lavoratori onesti e sfruttati da governi totalmente corrotti e corruttibili.

E se ‘No end’ era il preambolo.. ‘A simple accident’ è come un sequel

Costruito e ben pensato il film rivela invece come a volte il destino abbia più fantasia di noi.

Portandoci dove non avremmo mai creduto, in una lotta interiore tra bene e male, il film si dipana in dilemmi che spaziano a livello shakespeariano tra ironia e dramma.

Anche se in questa realtà iraniana c’è ben poco da ridere.

Espedienti semi-comici e dogmi sociali o religiosi, estremamente dolorosi e fin troppo veri, fanno da parterre a una condizione di cittadini in ‘libertà vigilata’, anche fuori dal carcere.

Controllati a vista e non liberi di fare una foto come sposi senza tangente, non liberi di parcheggiare senza una mancia, il regime va nutrito come una gallina di un pollaio.

GSS: Nel film ci sono momenti in cui assieme al dolore non si può evitare di ridere. Ho chiesto come ha fatto con un tema così serio a inserire elementi ironici?

Ma Panahi mi racconta che è nel carattere del popolo ironizzare, anche nelle vicende più tristi e difficili. E’ un’ indole di scambio e aiuto reciproco la loro. Addirittura implementata con le vicende della rivoluzione femminile e non solo. Il senso di appartenenza è aumentato, la condivisione pure. Per il film volevo tenere un registro doppio. Anche perché dovevo riuscire a portare lo spettatore alla fine. A volte ci vuole un può di leggerezza per lavorare su temi difficili seri dolorosi. Il mio intento è che arrivasse a più gente possibile fuori dall’Iran la realtà che viviamo.

Non basta infatti la finzione, a far capire quanto dolore privato possano vivere gli iraniani e, con essi, tutti i paesi sottoposti a guerre, dittature o regimi vari.

Il film evoca perfettamente le sensazioni di impotenza, incertezze e violenza che covano come vendetta e rivincita su chi ha usurpato ingiustamente la propria vita: dice Panahi, i secondini del regime, i portaborse degli Imam.

Ma noi uomini di cinema non usiamo violenza. Bastano già i nostri film a denunciare i soprusi. Non puoi fermare un cineasta cosi quel che costi. specie nel mio caso

Sinossi

Un uomo, tornando a casa la sera con la moglie e la figlia piccola, investe un cane. Cerca aiuto nei paraggi dopo aver rovinato l’auto. Questo semplice incidente avrà conseguenze inaspettat. Vahid,il meccanico dell’officina a cui l’uomo si rivolge, ritene di riconoscerne il passo strascicato dalla protesi. Avvisa nel rumore lo stesso dell’ufficiale anonimo dei servizi segreti che anni prima l’aveva torturato in carcere.

Desideroso di vendetta, Vahid lo rapisce. E’ in procinto di ucciderlo e seppellirlo nel deserto quando viene assalito dal dubbio. Essendo rimasto sempre bendato durante le torture, non può essere sicuro di aver preso l’uomo giusto. Riunisce quindi altri ex prigionieri come lui per aiutarlo nell’identificazione del presunto aguzzino, soprannominato Eghbal (“Gamba di legno”).

La fotografa di matrimoni Shiva se ne ricorda il puzzo di sudore. L’operaio Hamid è certo di riconoscerne la voce. La sposina Golrokh non si presenta all’altare pur di vendicarsi dello stupro subito. Ma le cose si complicano ulteriormente.


Chi è Jafar Panahi?

Identificato come esponente della ‘Nouvelle Vague’ iraniana sorta a partire dagli anni ’70, Jafar Panahi è un regista, attore e sceneggiatore. Ha realizzato diversi film tra cui si ricorda “Oro rosso” (Premio della giuria Un certain regard a Cannes 2003). Poi “Taxi Teheran” (Orso d’oro a Berlino 2015). O “Gli orsi non esistono” spesso girati da casa dove era confinato.

Regista simbolo della resistenza. Si batte contro le corruzioni invasive, le forme di potere, censura e mafia. Fu fermato e interrogato dalla polizia iraniana più volte nel corso della carriera. Prima condannato a sei anni e a 20 d’interdizione dal girare film seguito per aver filmato le proteste. Poi l’arresto nel 2022 per essersi presentato nell’ufficio del pubblico ministero di Teheran che aveva preso i colleghi Aleahmad e Rasoulof.

Solo la sua popolarità l’ha salvato e messo a riparo dal peggio

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