Nei giorni che precedono e seguono la “Giornata della Memoria”, mi capita di sentire questa domanda circa la validità di questa commemorazione, nel ricordo dei milioni di morti nei campi di concentramento. La risposta è purtroppo ovvia e scontata: sì. Molti ancora la sminuiscono e altrettanti nemmeno sanno cosa abbia significato davvero la Shoah.

La nostra società così frenetica, così rivolta verso il futuro, verso il benessere, ha la tendenza a meccanizzare certe situazioni e rendere automatiche le reazioni a ricordi, commemorazioni, feste etc. Capita così anche il 27 gennaio, ma potremo citare l’8 marzo, il 25 aprile. Si pensa che citando qualche frase di Primo Levi o riportare le dichiarazioni della Senatrice Liliana Segre o guardando “La vita è bella” o “Schindler’s list” sia sufficiente a metterci a posto con la coscienza a farci sentire migliori.
Questo a volte può anche essere vero e chi lo fa per la maggioranza, è in assoluta buon fede. Ma provate una attimo entrare in casa di una di queste persone e provate a chiedergli cosa davvero sa della persecuzione degli Ebrei in Europa, delle deportazioni di massa, delle odiose leggi razziali varate da Mussolini e di come molte famiglie ebraiche in Italia abbiano subito prima l’umiliazione di sentirsi diversi da un giorno all’altro e dopo vittime sacrificali da additare ai carnefici per la deportazione.

Non stiamo parlando di soldati nazisti o fascisti fino al midollo. Parliamo di noi, di nostri connazionali che per paura, vigliaccheria, e persino interesse, hanno condannato intere famiglie. Famiglie che probabilmente si sarebbero potute salvare da morte praticamente certa.
Come ha ricordato bene Enrico Mentana, molti di noi non sono stati solo vittime della mostruosità nazifascista, ma sono stati, complici attivi di quei rastrellamenti, di intere comunità spazzate e spezzate. A noi manca il senso di colpa. Churchill diceva: che l’Italia era un paese bizzarro. Prima 45 milioni di fascisti, finita la guerra 45 milioni fra partigiani e antifascisti, i conti non tornano. Un’esagerazione che però tende ad evidenziare come una parte d’Italia abbia accettato di essere complice di ciò che “la Giornata della Memoria” non vuole dimenticare
In Germania, il peso di quelle colpe è ben presente. Ognuno se ne è assunto la responsabilità, non sono passati da carnefici a vittime, ma hanno accettato il verdetto della storia. Hanno rimboccato le maniche e hanno dimostrato con i fatti che sebbene la storia non possa essere cambiata, si può accettarne la lezione per essere migliori.
Sarebbe bellissimo se un giorno, speriamo non lontano, non sia necessario fissare d’imperio una data per la giornata della memoria. Perché vorrebbe dire che tutti noi, accettiamo il fatto che quella è storia. Una pagina drammatica che non si ripeterà. Non si debba più leggere di astruse teorie revisioniste o sminuire i fatti accaduti.

Lungi da noi fare un discorso politico. Applicare certe etichette al mondo e alla cultura politica di oggi. Anche perché la giornata della memoria deve per prima cosa essere un monito per tutti. Qualcosa che deve andare oltre gli schieramenti politici e condannare sempre ogni forma di privazione delle libertà personali per ragioni di pelle, religione, credo politico.
il 27 gennaio giustamente ricorda i morti ebrei del nazismo e delle leggi razziali, ma l’umanità non deve nemmeno dimenticare il milione di morti nei gulag sovietici. I maltrattamenti subiti dai cittadini americani di origine giapponese internati dagli americani durante la guerra e di cui è stato testimone George Takei, il mitico Sulu Star Trek. Cosa dire allora dei campi di concentramento cinesi nei quali i prigionieri, gran parte politici dissidenti, sono destinati a massacranti turni di lavori forzati.
Qualcuno potrà fare distinguo sul trattamento riservato, sul fatto che nulla può essere paragonabile ai campi di sterminio nazista, verissimo. Ma tutti i casi sono tutte accomunati dal desiderio di privare della libertà e dei diritti fondamentali per ragioni politiche, di razza o religione.
Quel che è certo è il fatto che nel 2023 a circa 80 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, ci troviamo a dover ricordare. C’è ancora tanto da fare per far sì che certe lezioni della storia non abbiano bisogno di date. La memoria di quelle morti, di quel dolore dovrebbe essere tatuato nelle nostre menti per sempre.