GIOVANNA REI – L’intervista | Quel posto nel tempo; una scelta di cuore / di Giuseppe Savarino
Certe storie hanno il potere di farci vedere la vita da angolature nuove e inaspettate; come quella di Giovanna Rei che inizia la sua carriera di attrice frequentando il teatro per riconnettersi alla vita dopo un trauma che l’aveva rinchiusa in una forma di mutismo. Attraverso la recitazione riacquistò, passo dopo passo la gioia di vivere e il suo innato talento non tardò a farsi notare, diventando giovanissima, attrice di cinema e televisione. Oggi oltre che nei panni di attrice impegnata, la vediamo in veste di coproduttrice del film “Quel posto nel tempo” dove recita a fianco di un emozionante Leo Gullotta.
Il film, che porta la firma del regista napoletano Giuseppe Alessio Nuzzo, affronta una tematica importante e delicata, l’Alzheimer. Una scelta coerente, quella di Giovanna Rei, che viaggia di pari passo con la sua maturità artistica che la vede sempre più proiettata su ruoli drammatici rispetto ai brillanti personaggi interpretati in passato. Il film è un piccolo capolavoro narrato in punta di piedi. Un poetico viaggio nei meandri della memoria, dove lo spettatore vive l’esperienza attraverso gli stessi occhi del protagonista. In questa intervista per Red Carpet magazine, la bella e intensa attrice partenopea, ci prende per mano e ci conduce in “Quel posto nel tempo” tra ricordi personali e toccanti parallelismi con il suo ultimo film.
In quale ruolo ti sei emozionata particolarmente?
Sarò di parte, ma il mio ultimo film “Quel posto nel tempo”, ha di certo toccato le mie corde più profonde; oltre al tema particolare e delicato che affronta, ovvero l’Alzheimer, è anche il mio primo lavoro da coproduttrice cinematografica. Mi ero convinta con grande caparbietà che questo progetto meritasse di essere realizzato, perché ha un tema sociale forte e purtroppo molto diffuso.
Quando ci si trova davanti ad argomenti così importanti, il cinema dovrebbe avere la responsabilità di occuparsene artisticamente proprio per la sua funzione pedagogica. Attraverso un film si può arrivare a un pubblico vasto e su più livelli di comunicazione. Molte persone vivono o hanno vissuto l’esperienza di un familiare affetto da Alzheimer, me compresa. Raccontare questo mondo, il rapporto che queste persone hanno con i propri cari, con la loro mente che cambia, la memoria che a tratti si dissolve, i vecchi ricordi che affiorano dal passato, mi emoziona e mi commuove moltissimo.
Come sei stata coinvolta nel progetto?
Il produttore mi ha contattata proponendomi la sceneggiatura basata su un precedente progetto del regista Giuseppe Alessio Nuzzo, “Lettere a mia Figlia”; un cortometraggio che aveva ricevuto ben oltre 120 riconoscimenti in tutto il mondo. Leggendo notai, pagina dopo pagina, che la sceneggiatura aveva una narrazione poetica e delicata, anche se profondamente drammatica. Pensai che ci volesse davvero tanto coraggio a trattare un tema così doloroso. Quella storia l’ho sentita un po’ mia e ho voluto far parte di quell’audace progetto, portando il mio impegno sia in veste di attrice che coproduttrice.