Presentato Fuori Concorso alla 81° Mostra del Cinema di Venezia, ‘Il tempo che ci vuole’ della figlia di Luigi Comencini Francesca, delude le aspettative che con un tale padre, erano troppo alte già in partenza.
La domanda sorge spontanea, di Lubranesca memoria.
Ma se tuo padre è Einstein vuoi metterti a fare lo scienziato? I figli dovrebbero imparare da genitori immanenti, giganti della sensibilità, anche a mettersi da parte.
E’ come scontrarsi con il sublime: impossibile! Si perde già in partenza.
Ma andiamo per ordine.
Non vorrei cadere anch’io nel buco dell’ego che risucchia, ma preciserei l’antefatto doveroso.
Luigi Comencini è l’uomo, oltre che l’artista in assoluto che ho amato perché mi ha salvato la vita.
Grazie alla sua poesia endogena, mi ha catapultato, senza richieste esplicite, come un sasso nella fionda, dritta nel cinema. Senza mezzi termini.
Tu. Io. Soli. E fu subito amore.
E’ stato il salvagente visivo e animico a una famiglia a dir poco disfunzionale. Se sono viva lo devo a lui e ai suoi film.
Era il 1978. Avevo 6 anni quando vidi il suo capolavoro del 1966, adatto alla mia età e alle barbarie degli adulti inconsapevoli. Incompreso.
Incompreso lo era sia il protagonista Milo. Sia suo fratello Andrea. Sia io che mi sentivo in tutto la terza sorella.
Stessa casa. Stesso giardino. Stesse assenze. Stesse solitudini.
Una dentro un tubo catodico televisivo, comandato da un telecomando nero grande come un mattone.
L’altra fuori di esso, seduta su un orribile divano di alcantara arancione che oggi, solo all’idea, mi viene caldo.
Ero io. Piccola inconsapevole, stregata bambina. E poi futura operaia di arte e cinema, solo grazie a quel film che parte dall’arte, dai quadri settecenteschi di bambini e cani, per entrare in immagini in movimento delle stesse cose, bambini soli e cani.
Lo stesso che poi ho fatto io, arrendendomi a uno stesso destino salvifico. Cani, arte e cinema.
Con il suo indimenticabile, perfetto Pinocchio poi, l’uno e l’altro film mi hanno fatto capire che la solitudine di uno o di tal altro bambino era un’illusione.
Perché è vero che siamo tutti soli, anche dentro al cinema! Che confronto. Che conforto …
Con queste certezze cementificate dal protagonista del romanzo di Florence Montgomery, da LUIGI trasformato in sublime racconto di difficoltà familiari e incomprensioni appunto, in tutto simili alle mie, sono cresciuta più sana e più forte.
Grazie al famigerato neurone specchio che sottovalutato all’epoca, oggi spiega tutto e tanto.
Poi Pinocchio. Idolo di quel Collodi che imperversava sui nostri piccoli banchi di scuola in versione libro, nel film aggiungeva quella grazia, quelle musiche allegre e iconoclaste che, non solo cristallizzavano idee rendendole indelebili, soprattutto in una bambina, ma ti rimbombavano in testa tutta la notte, accorpate da ricordi e fotogrammi, dopo aver visto il nuovo meraviglioso e attesissimo episodio, della vita di uno come noi, ma fatto di legno.
Ecco tutta questa meraviglia, delicatezza, poesia di un uomo grande, diverso, potente, ma umile, Luigi, le cui visioni non si sono mai appannate nella mia vista, né memoria, si affaccia il film della figlia Francesca.
Un pò come farebbe una tempesta all’orizzonte. Che prima era sereno.
Purtroppo la classe, seppur con gli stessi cromosomi, non è la stessa. E nel goffo tentativo di omaggiare un grande padre ne ha invece messo in luce lo sconforto di aver avuto una figlia difficile e che lo ha tanto fatto soffrire. Qui si sfiora il masochismo. Non spoileriamo per necessità di visione
Costumi e musiche non hanno quel tocco angelico di un uomo, prima ancora che artista, profondamente umano, sensibile e visionario nel narrare i disagi altrui, specie se di bambini.
Seppure Gifuni ce la metta tutta ad incarnare un uomo a disagio con una bambina problematica, il tutto, inevitabilmente si confronta con l’origine: i capolavori di Luigi e gli stressanti paragoni.
Il film non è riuscito. Ciò che riesce è invece la domanda del padre posta alla figlia nel film, che noi tutti ci poniamo.
Ma perchè volete voi tutti fare delle biografie. Io non le ho mai fatte nei miei film.
Forse perché il grandissimo poeta dei sentimenti altrui e del rispetto delle armonie, visive, musicali, artistiche, the so called LUIGI COMENCINI, aveva moltissimo altro da raccontare al di fuori di sé.
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