di Gaia Serena Simionati

A conferma che l’arte serve a ribadire, illuminare, sottolineare ciò che non va nel mondo, questa 60° Biennale Internazionale, (dal titolo Stranieri Ovunque Strangers Everywhere,) forse a causa di precedenti e contemporanee sofferenze, come pandemie, guerre ed economie disastrate, assume una forza straordinaria, parlando di confini, differenze, identità.

Le stesse che generano guerre e soprusi ovunque, fuori dai Giardini Incantati di Venezia.

E’ bella, efficace, inclusiva. Oltre che gioiosa, colorata, musicata. Come non si vedeva dal 2001, dalla Biennale visionaria, anticipatrice dei futuri disastri, per la curatela di Harald Szeemann.

Qui la musica, la forza dell’Africa, della ribellione, dell’indigenità, la fanno da padrone. Assieme ai molti collettivi, e scambi in lavori pluri settoriali nell’idioma semplice, ma efficace che: l’unione fa la forza!

Sia essa di stili, persone, metodi e collaborazioni diverse.

A partire da John Akomfrah nel padiglione della Gran Bretagna che presenta Listening All Night To the Rain. Si esplora la natura transitoria della vita, specialmente in un momento di esilio politico. Ispirata alla vita dello scrittore e poeta dell’11 secolo cinese Su Dongpo, la mostra è pensata in 8 canti e su più livelli, multimedia. Varie installazioni video che osservano, incorporano, assurgono alla natura, al problema dell’acqua, delle catastrofi naturali, temi tanto cari all’artista ‘trovano casa’ nelle storie di diaspore dei migranti in Gran Bretagna.

Francia padiglione biennale

La Francia, come spesso accade, si distingue per l ‘armonia ed eleganza delle installazioni di Julien Creuzet, artista d’adozione parigina, che ha presentato il suo progetto per il Padiglione ai Giardini. Inanella li gioie e dolori di quel luogo simbolico e politico nelle intenzioni di un migrante e poeta, quale lui è.

Diaspora e casa ancestrale sono i due poli assieme ad arte e poesia, leggerezza e forza che donano le sue opere. Provenendo egli stesso da una colonia, la Martinica, egli si chiede quale significato possa assumere la definizione di rappresentanza nazionale, quando un luogo è designato come ‘altrove’. O colonia.

«Venezia comincia in Martinica» afferma. Con opere leggiadre e proteiformi, integrate in poesia, musica, scultura, cinema e animazione, si ri-evoca la storia travagliata della Martinica tra occupazione, creolizzazione e migrazione. Si vuole dunque contribuire a cambiare certe preconcette vedute e prospettive. Le sue installazioni accolgono detriti portati a riva dalla marea oceanica come dispositivi tecnologici, per parlarci di vite che bypassano tempo, territori e personali geografie.

francia biennale

Anche nel padiglione USA, nonostante le manifestazioni Pro Palestina, totalmente anti Israele, impedissero l’entrata, colpiscono per potenza installativa e tematiche.

Questo avviene grazie alla visione di Jeffrey Gibson che inonda con lignaggio creativo, identità e provenienze sia geografiche che sessuali. Riferimenti musicali, tradizioni letterarie, lavori e sculture fatte di perline, pitture di schemi e tessuti ancestrali, stagliano gioia, identità queer e consapevolezza nativa. Da vedere.

Molta musica in quest’edizione accompagna i vari padiglioni, spesso concepiti da collettivi in cui le danze sono sfrenate e aumentano il buonumore. Ad esempio in Olanda, un collettivo che trasporta giganti totem tradizionali, in un viaggio tra confini e interventi Mussoliniani tra le Alpi, raccorda percussioni, popoli e limiti.

Lo stesso fa la Grecia che con sculture, musica e video sempre di un collettivo, assorbe irrigazioni, metodi di agricoltura tradizionale, ribadendo l’importanza di acqua, terra e storia. Anche e soprattutto agricola.

L‘Egitto di Wael Shawky con Drama 1882, sottolinea gli errori di valutazione e narrazione, dovuti a incomprensioni che generarono la guerra nazionalista della rivoluzione Urabi, contro l’influenza imperialista inglese del 1882. Le opere tra cui sculture, video, specchi immergono il fruitore in una musica tradizionale rivisitata, fatta di una recitazione empatica e drammatica. Il tutto è basato su un musical scritto, diretto, coreografato da Shawky stesso che ammalia ed è forse il Padiglione più potente in assoluto.

In Uruguay con Eduardo Cardozo si esplora la multi-matericità. Diversi gli strati sovrapposti di pittura e bellezza del Tintoretto a cui l’artista associa la propria contemporaneità, omaggio e dialogo verso l’artista veneziano.

Latente è una proposta immersiva che cerca di generare un atto relazionale a distanza tra due pittori: l’artista uruguaiano Eduardo Cardozo e il veneziano Tintoretto. Questo dialogo si compone di tre momenti: il nudo, le vesti e il veloIl nudo è la parete dello studio di Cardozo, trasferita a Venezia con la tecnica dello stacco. Le vesti è un’interpretazione di uno dei bozzetti del «Paradiso» di Tintoretto. Il velo, infine, è un pezzo di stoffa cucita con i ritagli di tela grezza di cotone utilizzati per trasferire la parete dello studio. Si genera così un contrappunto tra l’Uruguay e l’Italia, tra il sud e il nord.

È durante questa ricerca che scopre uno dei due bozzetti de Il Paradiso di Tintoretto. Questa tela gigantesca, che si trova nella sala d’ingresso del Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid, è stata restaurata attraverso un lungo processo tra il 2012 e il 2013. È proprio questo il processo che ha affascinato Cardozo

To read more on cinema and Gaia Serena Simionati