di Gaia Serena Simionati

Munch a Palazzo Reale

Dopo 40 anni, Palazzo Reale riporta Munch a Milano con 100 suoi capolavori, in occasione dell’80° anniversario della sua morte.

In collaborazione con il Museo MUNCH di Oslo, un prestigioso evento culturale, una grande mostra monografica dedicata a uno degli artisti più amati e popolari del secolo scorso: Edvard Munch.

Munch prese molto dalla natura e non si limitò a riprodurla, ma la studiò creando per sé un’enorme autoconsapevolezza. In concomitanza con la sua nascita nel 1863 si era appena pubblicato un trattato sull’esistenza delle cellule.

Max Schultz, medico e anatomista, aveva appena sondato con i suoi studi, la funzione cellulare degli esseri umani, cioè la vita delle cellule negli organismi umani. Munch si era occupato di queste scoperte che portavano cambiamenti alla conoscenza nuova nelle teorie del mondo, anche pittoriche.

Egli ben sapeva cosa voleva dire essere umani. Era attratto da tecnica, scienza, problemi di genere, di classe, di medicina e spirituali. Su tutti questi cambiamenti, vissuti anche psicologicamente sulla propria pelle, esplorò anche quelli letterari, filosofici e musicali.

William James e Van Holt elaborarono infatti la teoria che tutto quello che vediamo muove anche dal passato, le nostre emozioni, spiegando che quando usiamo gli occhi, usiamo anche molti altri sensi. Soprattutto Munch colse che nell’esplorazione delle emozioni intervengono le memorie.

Non dipingo cosa vedo, ma cosa ho visto, raccontava 

Non c’entra solo la psiche. Munch ci interessa infatti anche come pensatore, non solo come pittore.

Era un performer. Performava in tutti gli aspetti della vita e della sua personalità. Aveva una visione del mondo scorrevole, mai ieratica. I suoi ricordi sono anche stati oggetto del dolore della sua famiglia e delle storie d’amore con conclusioni infelici.

Tutte le sue emozioni interne vanno a beneficio del pubblico per una nuova interpretazione del ricordo e quindi della elaborazione pittorica di esso.

Spesso Munch giocava con una compressione dello spazio, o estremamente avvicinato o troppo allontanato. Assieme a una perversione colorimetrica e un originale uso della luce che lo rese un pittore iconico e riconoscibile.

Lo vediamo nei vari dettagli delle stampe dal 1900 in poi, producendo l’importanza della sensazione. In Gelosia poi, dove il verde del volto dell’amico tradito, racchiude proprio il sentimento traslato di gelosia e rabbia.

La mostra segue un percorso basato su un concetto cronologico della sua vita, l’istruzione, i rapporti con gli amici più cari, gli scrittori, le tematiche con una narrazione definita il fregio della vita. Ma anche la sensualità, l’amore che occupa spazio nella sua esistenza e l’automedicazione da lui molto studiata

Il tutto definito culmina in quello che amò definire ‘Fregio di vita’


Nel corso della sua carriera artistica Edvard Munch ha esplorato questioni di perenne significato esistenziale e ha sfidato le espressioni dell’arte. In questa ampia mostra, l’arte di Munch sarà esplorata dal 1880 fino alla sua morte nel 1944. La mostra comprende 100 opere tra dipinti, disegni e stampe tutti provenienti dal Museo MUNCH.

La vita di Munch

Edvard Munch (12 dicembre 1863 – 23 gennaio 1944) è stato un pittore norvegese. La sua opera più nota, L’urlo, è diventata un’immagine iconica dell’arte. Malattia, lutto e il terrore di ereditare una condizione mentale che si era frequentemente presentata in famiglia, adombrarono la sua infanzia.

Iniziò a vivere un’esistenza bohémien sotto l’influenza del nichilista Hans Jaeger che lo esortò a dipingere il proprio stato emotivo e psicologico (“pittura dell’anima”). Da ciò emerse il suo stile distintivo.

Dai viaggi che intraprese poté trarre nuove influenze. A Parigi studiò le opere di Gauguin, Van Gogh e Toulose Lautrec da cui apprese l’uso del colore. A Strindberg che incontrò invece a Berlino fece un celebre ritratto. In quel periodo aveva concepito una serie di dipinti su temi come l’amore, l’ansia, la gelosia e il tradimento.

Creò L’urlo mentre si trovava a Kristiania. Secondo lo stesso autore, egli stava passeggiando al tramonto, quando «sentì l’enorme, infinito grido della natura». Il volto agonizzante della figura centrale del quadro è ampiamente identificato con l’angoscia dell’uomo moderno. Tra il 1893 e il 1910 realizzò due versioni dipinte e due a pastello, oltre a numerose stampe.

Man mano che la sua fama e la sua ricchezza crescevano, il suo stato emotivo diveniva sempre più fragile. Considerò brevemente la possibilità di sposarsi, ma non riuscì mai ad impegnarsi. Nel 1908 un esaurimento nervoso lo costrinse a smettere l’abuso di alcool. Però il periodo segna anche la crescente accettazione della sua arte da parte dei concittadini. Trascorse i suoi ultimi anni lavorando in un sostanziale isolamento.

Inoltre persino la Germania nazista bandì le sue opere come “Arte degenerata”

Una mostra Comune di Milano – Cultura | Palazzo Reale | Arthemisia. 

A cura di Patricia Berman.

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