“La natura umana è crudele e l’uomo lo diventa quando ha paura”
‘The Penitent’ di Luca Barbareschi esce al cinema il 30 maggio con 01 Distribution. Presentato fuori concorso all’80esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il film è ispirato alla cronaca.
Nel caso Tarasoff, uno psicanalista rimane vittima di accanimento giudiziario e della macchina del fango causata da una comunicazione pilotata.
Tratto da una sceneggiatura di David Mamet, già vincitore del Premio Pulitzer nel 1984 con la pièce Glengarry Glen Ross, ‘The Penitent’ di Luca Barbareschi è un film spiraliforme e complesso.
Già il sodale con Memet risale all’esordio della carriera dell’eclettico artista Uruguayo (1956) con cui lo accomuna la lettura di una società governata dalla menzogna, dal rancore, in cui persone imperfette combattono insieme.
Qui contro l’influenza della stampa e la strumentalizzazione della legge.
Ma anche contro la propria morale. O forse a favore di essa
The penitent esplora più realtà nella visione concentrica di Barbareschi che ne è regista, produttore, attore, fomentatore.
Stanco del politically correct, attratto dal Woke, abitato dal cancel culture, sodomizzato dai diritti dei LGBTQ+, ‘l’impenitente’ Barbareschi, in veste di ‘Penitente’ psichiatra, è offuscato da tutto ciò sopra citato.
In short, una vita a pezzi. Pur non avendo fatto apparentemente niente per romperla.
Girato nella multietnica e polifonica New York, il film mette a soqquadro l’idea di giustizia, di religione, intesa sia come rapporto privato con Dio e le scritture, sia come persecuzione ebraica.
Inficia poi il giornalismo e i suoi errori, incluse demonizzazioni e abusi di potere.
Siano essi della stampa. Della psicanalisi e i suoi segreti, vincolati dal patto di Ippocrate. La storia di uno psichiatra, ‘bloccato’ dal segreto professionale o dai propri errori, si interseca con il legame che un avvocato ha con il suo cliente e la moglie. Anche di fronte alla giustizia.
E poi la woke culture, i diritti LGBT, giudizio e razzismo, “La natura umana è crudele”
La stampa a caccia di nuovi clic e mostri da prima pagina fa scrivere al giornalista che per Hirsh l’omossessulità è un”aberrazione’. In realtà lui l’ aveva definita un ‘adattamento’.
Fin dalle prime inquadrature rovesciate, speculari, sdoppiate su una fotografica New York in bianco e nero, capovolta in un concreto mondo sottosopra, si capisce l’intento del film.
Sovvertire. Ammaliare. Ridefinire.
Così come fa il bellissimo impermeabile Aquascutum, colore senape, indossato dal protagonista prima di entrare in case ed ambienti sofisticati.
Camere in boiserie e lenzuola di Frette, quadri contemporanei, librerie vittoriane in mogano, perfette ed eclatanti. E’ l’Upper East Side. Terra di intellighenzia e virtù.
Tutto all’apparenza è ricco, elegante, curato se non fosse che un disastro sta per capitare all’ebreo praticante, esperto di Torah, oltre che di studio umano.
Fin dalle prime inquadrature un quadro su tutti ritrae in bianco e nero un uomo imprigionato in un perenne filo spinato, a indefesso presagio della trama che segue la sua vita.
E il film.

In sostanza The Penitent, seppur in alcuni punti ridondante e forse un pò troppo lungo, ha il pregio di riemergere dalla coscienza nella digestione post prandiale.
Fa riflettere come lo farebbe la conversazione di un playboy con una donna brutta, ma intelligente. Scardina i luoghi comuni.
Egli di primo acchito la detesta, ma poi se ne innamora.
E cosi, senza troppe remore o pregiudizi, fa il film.
La sinossi di ‘The Penitent’
New York. Uno psichiatra vede deragliare la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente violento ed instabile che ha causato la morte di diverse persone. L’appartenenza alla comunità LGBTQ+ del giovane paziente, il credo ebreo del dottore, la fame di notizie della stampa e il giudizio severo della legge, aggravati da un errore di stampa dell’editor di un giornale, sembrano essere gli elementi che fanno scatenare una reazione a catena esplosiva. La gogna mediatica e l’accanimento del sistema giudiziario si sommano al dilemma morale nel professionista che si trincera dietro al giuramento di Ippocrate per difendersi dalle interrogazioni, dalle pressioni e dai tradimenti di tutti alla ricerca della verità.

Prodotto da Èliseo Entertainment con Rai Cinema, il film vede nel cast Catherine McCormack, Luca Barbareschi, Adam James, Adrian Lester e Fabrizio Ciavoni.
L’antefatto reale del CASO TARASOFF
Il problema del segreto professionale si pose con particolare forza nel campo della psicologia clinica all’ epoca del celebre «Caso Tarasoff»
LA STORIA
Lo psicologo di Poddar si era persuaso che il suo paziente, uno schizofrenico paranoide, fosse socialmente pericoloso. Aveva infatti raccontato delle proprie fantasie erotiche nei confronti di una studentessa, Tatiana Tarasoff. Oltre della propria intenzione di acquistare un fucile per ucciderla.
Lo psicologo decise così di informare la polizia che convocò Poddar, lo interrogò, ma si convinse che non era affatto pericoloso. Promettendo di non molestare più la Tarasoff, Poddar venne lasciato libero.
In nome del segreto professionale, si fece rendere dalla polizia l’ esposto dello psicologo, e ordinò che venisse distrutto.
Qui si tratta di un caso etico prima ancora che giudiziario perchè vi fu un omicidio che si sarebbe potuto evitare se qualcuno si fosse preso la briga e responsabilità di tradire le confidenze dell’assassino, rese nel corso di un intervento clinico.
L’OMICIDIO
Una sera Poddar si appostò nei pressi dell’abitazione di Tatiana. La uccise brutalmente prima sparandole con un fucile e poi finendola a coltellate.
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