ORIETTA BERTI – L’intervista | Una storia surreale e bellissima / di Gino Morabito
Domina la scena con i suoi racconti, i fuori programma ficcanti, con l’arma vincente della spontaneità. Tra gaffe, amarcord e sedici milioni di dischi venduti, Orietta Berti sfoggia una carriera artistica che ha superato i cinque decenni. Lo sguardo sempre avanti e canta, L’usignolo di Cavriago. Canta finché la voce va.

Il mondo dello spettacolo è un ambiente dove non si può dormire sugli allori. Ogni giorno si ricomincia da capo, è una nuova conquista.
Nel mio lavoro cambi pelle continuamente, sei sempre a contatto con energie nuove, giovani, e non percepisci il passare del tempo. Esternamente te ne accorgi quando ti guardi allo specchio, ma dentro no, il tempo non ti cambia. Non si spegne mai la passione, il desiderio di sperimentare restando fedele a chi sei. L’importante è mantenere intatta la propria personalità, cantando canzoni che siano credibili, vere, che appartengano al tuo genere.
Un felice connubio tra umiltà e un pizzico di trasgressione.
Ho preso l‘abitudine di trascorrere le mie vacanze a Los Angeles e, quando sono là, mi trasformo: indosso la parrucca azzurra con il vestito abbinato, e ogni giorno c’è una festa. Se lo facessi in Italia, non sarei vista di buon occhio. A volte mi capita di osservare delle colleghe giovani vestirsi in modo stravagante ed essere reputate trendy, alla moda, delle influencer… certo… ma io in America lo faccio già da trent’anni!
La mia vita è un film – 55 anni ++ di musica, il racconto di “una storia surreale e bellissima”.
Non potrei fare a meno di provare amore per la musica e per la mia professione. Quel continuo girovagare sentendosi un po’ zingara, essere inondata dell’affetto delle persone. Sono esperienze che ti fanno alimentare una gamma di sentimenti che non tutti riescono a provare.
Oltre sedici milioni di dischi venduti, quattro dischi d’oro, un disco di platino e due d’argento, tournée in tutto il mondo.
La musica, certo, mi ha sottratto del tempo da dedicare ai miei figli, portandomi lontano da casa per periodi di quindici giorni o addirittura un mese. Ma mi ha dato tanto, tantissimo. È la mia vita.
Finché la barca va, Via dei Ciclamini, L’altalena… Certo erano altri tempi.
All’epoca, se non vendevi almeno mezzo milione di copie, ti lasciavano nel cassetto e buttavano via la chiave. Eravamo degli strumenti per far soldi. La musica leggera in quel periodo vendeva molto, veniva esportata all’estero. Per le case discografiche c’era un guadagno non indifferente.