Silvio Orlando | «Ho sempre diffidato della felicità» Di Gino Morabito

Inizia televisivamente alla fine degli anni Ottanta nel “prezelig” Zanzibar, poi Gabriele Salvatores gli dà la conferma che il suo talento fosse esportabile. Formatosi alla scuola teatrale napoletana, mescola sapientemente ironia, autoironia e sincerità rifuggendo la retorica. Una maschera attoriale autentica capace di attrarre pubblico e critica cambiando continuamente registro sul grande schermo come sul palco. È di scena Silvio Orlando.

Silvio Orlandi, da Zelig al cinema

Ha sempre diffidato della felicità.

Non come in quei romanzi e in quei film in cui il protagonista è in procinto di fare… e poi l’autore, il regista sadico, quando meno te l’aspetti, lo fanno precipitare. Sono sempre in attesa del passo falso, del precipizio.

Quando perse la madre aveva solo nove anni.

Si è ammalata che ne avevo sei. Poi, da quel momento, tutti in famiglia siamo entrati in un tunnel di malattia e decadimento fisico di mia madre, che aveva preso il centro dell’attenzione e non c’è stato spazio quasi per nient’altro. Tuttavia, in quei primi anni, ho letto tanto, libri anche surreali, non adatti a un bambino della mia età, come ad esempio “Il castello” di Kafka. Leggevo quello che trovavo a disposizione nella piccola biblioteca di casa – non appartengo alla famiglia Leopardi -. Erano i libri di una famiglia degli anni Sessanta, che cercava di affrancarsi anche culturalmente.

Un sessantacinquenne che si racconta ogni giorno la stessa bugia.

Mi racconto che quella sarà la giornata in cui smetterò di avere ansia, di avere paura. Che sarà una giornata determinante per mettere a posto le cose, in cui tutti i pezzi del mio puzzle si incastreranno perfettamente.

Ogni uomo alla fine rimane sempre un bambino che ha paura del buio.

L’uomo da sempre ha paura del buio e anche della verità. Credo che, mediamente, non siamo pronti ad avere troppe verità rivelate. La curiosità, sulle cose e sugli altri, è quello che ti fa stare bene al mondo allontanandoti dalla depressione e dall’autolesionismo. Se sei curioso, verso gli altri e verso le cose che ti succedono, trovi sempre dei motivi di gioia. Questo pensiero mi dà la forza di affrontare ogni giorno in modo sereno la tragedia della terza età, a cui ormai – stando all’Istat – appartengo.

Il rapporto con la propria immagine non è mai stato narcisistico.

Non ho mai esclamato “quanto mi piaccio!”. Però con l’età ho imparato ad accettarmi e a capire che poi il fascino non è testimoniato solo da quell’immagine riflessa. Sicuramente lo specchio migliore è mia moglie. Una donna che ti sta vicino e ti asseconda, e che vede le tue piccole miserie, ti fa stare con i piedi per terra.

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