Come ha detto lo stesso Salvador Dalí, la sua personalità è stata probabilmente il suo più grande capolavoro.
Questo film racconta modestamente questa storia.

La vera opera d’arte è il mio carattere
L’artista si racconta cosi: “Tutti vogliono sapere il metodo segreto del mio successo. Questo metodo esiste. Si chiama il metodo paranoico-critico. Da più di trent’anni l’ho inventato e lo applico con successo, benché non sappia ancora in cosa consista. Grosso modo, si tratterebbe della sistemazione più rigorosa dei fenomeni e dei materiali più deliranti, con l’intenzione di rendere tangibilmente creative le mie idee più ossessivamente pericolose. Questo metodo funziona soltanto alla condizione di possedere un dolce motore d’origine divina, un nucleo vivo, una Gala.
Daaaaaali! , descritto come un “vero film biografico falso” sull’artista surrealista Salvador Dalí, è una commedia francese scritta e diretta da quel pazzo di Quentin Dupieux che pare prendere alla lettera l’autodefinizione dello spagnolo di Figueres.
In assoluto uno dei migliori film presentati a Venezia80, perché l’unico che, finalmente, non si è preso troppo seriamente. Fuori concorso.
La capacità dell’arte di disarginare i costrutti è infatti la vera vittoria e, in pochi lo sanno fare con una certa maestria ed eleganza.

A Venezia dove, a partire da Favino con le sue logorrie, è stato tutto troppo serio e autoreferenziale, si è così perso di vista di vista il focus della cultura: sbalordire!
Sia chiaro. Non se stessi, ma gli altri. Possibilmente!
In questo un cast d’eccezione che include Romain Duris, Pierre Niney, Gilles Lellouche, Alain Chabat, Jonathan Cohen, Pio Marmaï, Edouard Baer, rende Dalì, protagonista sempre vario, mutevole e mutante, grazie alle performance degli innumerevoli attori che lo interpretano in modo geniale, brillante e, a dir poco perfetto.
Mentre per l’inesperta giovane neo giornalista il regista ritrova Anaïs Demoustier, l’occasione è data a 6 attori nelle varie età e fasi del pittore… da Marmai a Baer, indimenticabile Cohen, Lellouche e Niney.
Anche questo parte dell’ironia sottile che conduce la falsa intervista che mai avviene, escamotage assurdo per tentare di definire un genio o aiutarlo ad autodefinirsi, cosa che ahimè è resa impossibile sia dall’ironia che dal personaggio stesso – per definizione – indefinibile.

In questo simile al geniaccio di Dupiex che ormai è presente a tutti i festival, con lavori più o meno riusciti. In questo caso però gli 80 minuti della pellicola sono sfociati in un lungo applauso, alla visione stampa.
Dopo Yannick, presentato a Locarno, ora il celebre pittore spagnolo, diviene soggetto e oggetto della fantasia rocambolesca di un regista che non è meno surreale di Dali stesso.
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