ROSARIO FIORELLO – Vorrei invecchiare, ma purtroppo non ci riesco / di Gino Morabito
Talento cristallino, stile inimitabile, orgogliosamente siculo. Con un’età anagrafica di sessantadue e percepita di quaranta, “il Mattarella dell’intrattenimento” è capace di animare, cantare, presentare, condurre, recitare, imitare. Aveva dichiarato di volersi ritirare a sessant’anni. Fortunatamente per noi, Rosario Tindaro Fiorello detto Ciuri quel giro di boa l’ha superato, tornando – mattatore – al calore del suo pubblico.
Catanese di nascita e cresciuto ad Augusta in provincia di Siracusa.
La Sicilia non mi ha tolto nulla, anzi mi ha dato tutto quello che sono oggi.
A metà degli anni Settanta, gli amici parlavano del “villaggio” con toni mitologici.
“Non è un albergo, ci sono le capanne, non c’è il direttore, ma ‘u capovillaggio e la sera ballano tutti nudi, scalzi, con i parei, le tette di fuori, la marijuana libera. Hai presente Vuudstocche?”. Alla fine fui assunto. Dopo aver venduto le verdure in mezzo alla via, aver fatto il muratore, il meccanico e anche il telefonista in una ditta di pompe funebri, il villaggio era un bel salto. Quelli che mi vogliono denigrare dicono “viene dai villaggi”. Ma io so che se non ci fosse stato il prima, non ci sarebbe stato neanche il dopo. Il villaggio è stata la mia scuola.
“Permaloso e rancoroso” con quella riluttanza “ad accettare le critiche”.
Sono fatto così: ti posso piacere o meno, tu sei libero di dire ciò che vuoi, io di non fare più un varietà. Poi i tempi sono cambiati e non è detto che ciò che andava bene ieri vada bene anche oggi. Vedo gente che con il 22 per cento di share stappa lo champagne. Noi arrivammo al 63. Quanto dovrei fare ora per non deludere le aspettative?
Lo spettacolo per lo spettacolo.
Una volta ho fatto uno show senza pubblico, c’erano due persone. A Fiuggi, durante la finale del Grande fratello 1, non venne nessuno: parlavo alle sedie e ai faretti. Con una o con tremila persone, è uguale. Per me l’importante è fare spettacolo. Accadrà finché vivrò, perché sono riuscito a smettere di fumare ma non riesco a smettere di pensare al mio mestiere. La tivù è un’altra cosa. È il meno veritiero dei mezzi con cui mi esprimo, il più irregimentato.
La pigrizia di uno sperimentatore.
Sono più di pigro. Sono uno da divano, mi piace stare a casa con le mie figlie e con Susanna. Vedo programmi condotti per quindici, venti, trent’anni dalla stessa persona, anche di successo. Mi chiedo “come fanno a fare sempre lo stesso programma?”. Io non sono così, non ce la faccio. Negli anni ho fatto massimo quattro puntate dello stesso programma, poi sono andato sul web, quindi su Sky, poi sono tornato in Rai.