Morirò in piedi – disse il grande e consapevole Lucio Amelio. E così fece.
Fu sepolto nell’Isola del sonno, tomba da lui concepita e disegnata, con lo stesso titolo di un’opera di Beyus che amò molto, e con cui condivise, l’inizio della fine.
‘Lucio Amelio‘ di Nicolangelo Gelormini, è stato presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Ottimo il ritratto dello storico e geniale gallerista napoletano che lanciò Andy Warhol e molti altri artisti e rese indimenticata la crasi tra America e Germania rappresentate reciprocamente da Andy e Joseph.
«Trovo il montaggio troppo stancante […] lascio che la camera funzioni fino a che la pellicola finisce, così posso guardare le persone per come sono veramente.» Cosi disse Warhol quando si appropinquava al cinema.
E, per gli stessi motivi, il fluire della narrazione nei ricordi, immagini, reperti e archivi che legano Amelio a Andy e Beuys, percorre la realtà di un pesca, dove la forza di uomini valorosi, sorretti dalle loro visionarie idee, scavalcava la burocrazia, inezia e l’ottusità di una politica che non capiva la valenza sociale e la capacità di unione che l’arte contemporanea contiene in sè. I germi di questo, Amelio li aveva ben scoperti, in anticipo su tutti.
Ed è bene che Gelormini lo testimoni; sia come omaggio che come monito.
LA SINOSSI
America. Europa. Due continenti. Due realtà. Due diverse concezioni dell’arte: da un lato la perfezione tecnica e il cinismo della società consumistica nordamericana, rappresentata da Andy Warhol. Dall’altro, la spiritualità etica e concettuale di un’arte europea orientata al radicamento sociale, incarnata da Joseph Beuys.
Al centro un napoletano armato di visione. Nel 1980 egli fece una magia. Riunì i due massimi artisti nella città, scrivendo – attraverso la loro unione – il nuovo e più entusiasmante capitolo della storia dell’arte mondiale. Lucio Amelio. fu il titano di tale impresa.
Warhol fotografò Beuys e il loro incontro fu talmente epocale da sprigionare un’energia pari a quella di un terremoto. Proprio quell’anno, dopo poco, la città fu colpita dal più distruttivo e tragico sisma della storia moderna: il terremoto dell’Irpinia. Una tragedia immane, che Amelio però riuscì a trasformare in un’occasione artistica.
Partorì la più importante mostra della sua vita: una collezione-testamento costruita appositamente attorno al tema del sisma di Napoli, che vide coinvolti i più grandi nomi della scena internazionale – Beuys e Warhol in testa – e che prese proprio il nome di “Terrae Motus”.
Attraverso il piglio estetico di Nicolangelo Gelormini, questo documentario racconta le gesta di questo grande mago napoletano e indaga più in profondità l’epopea della sua ascesa. Le eroiche imprese del suo lavoro, mosso tra ideali etici di un’arte scevra dall’essere oggetto – finalizzata ad una nuova e superiore consapevolezza – e le spinte più commerciali dell’art dealing.
A testimoniare questo cataclisma napoletano ci stanno artisti, parenti, amici e i soci. Ed anche studiosi, eredi e galleristi che hanno fatto tesoro della sua esperienza e che, ancora ne ammirano l’incredibile lascito artistico. Tra gli altri: Anna Amelio, sua sorella a capo dell’imponente Archivio lasciato da Lucio, Toni Servillo,, Mario Franco, amico e documentarista, Achille Bonito Oliva, Angela Tecce, Presidente della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee di Napoli. Nino Longobardi, artista scoperto e forgiato da Amelio, Tomas Arana, suo assistente nonché testimone diretto del fatidico incontro tra Beuys e Warhol, Lia Rumma.
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